BURNOUT

Il termine burnout compare per la prima volta nel 1930 in ambito sportivo per indicare la difficoltà di un atleta, dopo alcuni insuccessi, di migliorare o mantenere i risultati raggiunti.
Negli anni Settanta il fenomeno cresce negli Stati Uniti d’America, inizialmente, legato alle professioni di aiuto alla persona come i vigili del fuoco, medici, poliziotti, infermieri e solo successivamente venne esteso anche a tutti gli altri lavoratori quali, per esempio, avvocati, segretarie, dipendenti pubblici ecc…

Il significato letterale di Burnout è “bruciato” “esaurito” “scoppiato” e si riferisce appunto allo stato di deperimento delle energie nei confronti del lavoro che svolgiamo e per il quale nel tempo non abbiamo fatto nulla e abbiamo continuato a bruciare fino all’esaurimento delle nostre energie.
Nel 2019 L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto il burnout inserendolo nel 11ª revisione della classificazione internazionale delle malattie e definendolo un “fenomeno occupazionale” che deriva da uno stato di stress cronico sul posto di lavoro gestito con insuccesso.

La salute occupazionale, secondo l’OMS, è una strategia importante non soltanto per garantire la salute dei lavoratori ma anche per migliorare la produttività, la qualità dei prodotti, la motivazione e la soddisfazione lavorativa e quindi di conseguenza la qualità complessiva della vita degli individui e della collettività.
le principali dimensioni che caratterizzano la sindrome da burnout sono tre:

• L’esaurimento emotivo, caratterizzato da un forte coinvolgimento emotivo e il conseguente utilizzo eccessivo delle nostre risorse affettive, si provano quindi sentimenti di esaurimento energetico estrema spossatezza.
• Il cinismo, ovvero, un aumento della distanza mentale del proprio lavoro con sentimenti di negativismo legati a ciò che facciamo.
• Ridotto senso di efficacia personale che portano una mancanza poi di realizzazione sul lavoro

Il burnout insorge gradualmente e si aggrava secondo quattro fasi:

  1. “entusiasmo idealistico”: il lavoratore investe molte energie nel lavoro, si sente motivato dalla sua scelta professionale e si crea delle aspettative alte e non molto realistiche di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato.
  2. “stagnazione”, il soggetto continua a lavorare, ma si accorge che il suo lavoro non lo soddisfa del tutto e i risultati dei suoi sforzi lavorativi cominciano ad apparire inconsistenti. Inizia a farsi strada un sentimento di profonda delusione
  3. frustrazione profonda: il lavoratore comincia a credere di non essere più in grado di aiutare nessuno. In questa fase il soggetto frustrato potrebbe mettere in atto atteggiamenti aggressivi verso di sé o verso gli altri o atteggiamenti di fuga e ritiro
  4. il graduale disimpegno emozionale, conseguente alla frustrazione, con passaggio dall’empatia all’apatia, costituisce la quarta fase, durante la quale spesso si assiste a una vera e propria “morte professionale”.

Il modo migliore per prevenire il Burnout è sicuramente quello di puntare sulla promozione dell’impegno nel lavoro: questo significa diminuire gli aspetti negativi e aumentare allo stesso tempo quelli positivi. Per fare questo, è utile variare la routine, auto-regolarsi, dormire a sufficienza, organizzare al meglio il proprio lavoro, condurre uno stile di vita sano, ricorrere ad una serie di tecniche di rilassamento, accrescere il grado di autoconsapevolezza. Gli interventi psicoterapeutici, come quello cognitivo-comportamentale, contribuiscono a migliorare la prognosi del burnout prevedendo la modifica del comportamento e degli atteggiamenti in coerenza a quanto acquisito.

A cura della Dott.ssa Claudia Apuzzo

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