Ansia: gli studi psicologici condotti in merito e come fronteggiare le possibili problematiche

I disturbi d’ansia sono un gruppo eterogeneo di disturbi mentali, tipicamente caratterizzati da iper-arousal, paura eccessiva e preoccupazione, con stime globali che vanno dal 3,8 al 25% nei vari Paesi, e con una prevalenza stimata fino al 70% nelle persone con condizioni di salute croniche (Crocq, 2015). Nel DSM-5, l’ansia è definita come l’anticipazione di una minaccia futura e si distingue dalla paura che si configura come la risposta emotiva a una minaccia imminente reale o percepita. Da un punto di vista evolutivo, l’ansia è adattiva in quanto favorisce la sopravvivenza spingendo le persone ad allontanarsi da luoghi pericolosi. La soglia clinica tra l’ansia adattiva normale nella vita quotidiana e l’ansia patologica che richiede un trattamento è soggetta al giudizio clinico. L’impatto che questi disturbi hanno sulla vita quotidiana degli individui è devastante, inoltre si presentano spesso in comorbilità con altri disturbi mentali, come la depressione e le dipendenze, e sono spesso associati ad elevati fattori di rischio cardiovascolare come l’ipertensione (Beesdo et al., 2009).

Gli studi psicologici condotti in questo ambito hanno messo in luce diversi aspetti del disturbo. Secondo la letteratura, la prevalenza nell’arco della vita dei disturbi d’ansia è più alta, circa il doppio, nelle femmine (Faravelli et al., 2013). L’infanzia e l’adolescenza rappresentano i due periodi critici per lo sviluppo di sintomi e sindromi d’ansia. Distinguere tra ansia normale e patologica, tuttavia, può essere particolarmente difficile nei bambini, poiché questi ultimi manifestano molte paure e ansie come parte dello sviluppo tipico. Sebbene questi fenomeni possano essere angoscianti, si verificano nella maggior parte dei bambini e sono in genere transitori. Ad esempio, l’ansia da separazione si manifesta normalmente tra i 12 e i 18 mesi, la paura dei tuoni o dei fulmini tra i 2 e i 4 anni e così via. Pertanto, dato che tale ansia si manifesta nella maggior parte dei bambini e in genere non persiste, l’angoscia, di per sé, rappresenta un criterio inadeguato per distinguere tra stati d’ansia normali e patologici nei bambini (Beesdo et al., 2009).

Da un punto di vista cognitivo, gli studi hanno evidenziato nei disturbi d’ansia un’alterazione a carico dei meccanismi attentivi, in particolare elevata distraibilità e disturbi della concentrazione. Queste alterazioni sono state associate alla presenza di bias attentivi impliciti per gli stimoli a carattere minaccioso, i quali catturano l’attenzione inconsapevolmente e in maniera automatica. Tali bias, tuttavia, si differenziano a seconda del tipo di disturbo d’ansia. Nel disturbo d’ansia sociale è stata riscontrata una disattenzione selettiva per gli stimoli minacciosi (bias di evitamento), al contrario nel disturbo di panico, nella fobia specifica e nel disturbo d’ansia generalizzato si riscontra un’attenzione selettiva per gli stimoli minacciosi (Mogg e Bradley, 2016). Inoltre, la maggior parte degli studi, ha sottolineato il coinvolgimento anche della memoria visuo-spaziale. In generale, la prestazione ai compiti cognitivi appare ridotta a causa dell’utilizzo delle risorse di memoria di lavoro per preoccupazioni e rimuginazioni ansiose. Sono stati inoltre evidenziati aumentata distraibilità, lapsus attentivi, incapacità di mantenere l’attenzione nel tempo, scarsa concentrazione e pensieri intrusivi (Moran, 2016).

Il primo passo per imparare a fronteggiare l’ansia è accettare la sua esistenza ed accettare l’impossibilità di affrontarla e risolverla autonomamente. I disturbi d’ansia sono tipicamente trattati con la psicoterapia, con farmaci come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), gli inibitori della ricaptazione della serotonina-norepinefrina (SNRI), le benzodiazepine o una combinazione di entrambi (Ori et al., 2015). Altri approcci recenti e promettenti sono la stimolazione cerebrale non invasiva (NIBS) e metodiche di biofeedback e neurofeedback. La prima fa riferimento ad un gruppo di tecniche che inducono cambiamenti nell’eccitabilità neurale locale e nell’attività di una rete. Le due principali tecniche di NIBS sono la stimolazione elettrica transcranica (TES) e la stimolazione magnetica transcranica (TMS). Gli interventi di neurofeedback, invece, si basano sull’apprendimento di strategie cognitive per controllare volontariamente l’attività neurale in corso in una o più regioni cerebrali mentre si riceve un feedback in tempo reale. Sia il neurofeedback che la NIBS sono metodi promettenti per modulare l’attività neurale locale nel substrato dei sintomi e dei disturbi d’ansia (Guerrero et al., 2021). Infine, il biofeedback si basa sulla misurazione dei cambiamenti fisiologici associati agli stati psicologici per aiutare a monitorare le funzioni corporee che sono influenzate dalle reazioni psicologiche. Gli interventi basati sul biofeedback utilizzano e monitorano diversi fattori fisiologici, tra cui la frequenza cardiaca, la risposta galvanica della pelle e la misurazione della respirazione. Lo scopo principale del training di biofeedback è quello di fornire ai pazienti la consapevolezza e la comprensione dei loro cambiamenti fisiologici, aiutandoli a controllare meglio tali cambiamenti e, di conseguenza, a controllare meglio il loro stato mentale. È stato dimostrato che il biofeedback è uno dei metodi utili per ridurre i sintomi dei disturbi d’ansia (Alneyadi et al., 2021).

BIBLIOGRAFIA

Alneyadi, M., Drissi, N., Almeqbaali, M., & Ouhbi, S. (2021). Biofeedback-Based Connected Mental Health Interventions for Anxiety: Systematic Literature Review. JMIR mHealth and uHealth9(4), e26038. https://doi.org/10.2196/26038

Beesdo K, Knappe S, Pine DS. Anxiety and anxiety disorders in children and adolescents: developmental issues and implications for DSM-V. Psychiatr Clin North Am. 2009 Sep;32(3):483-524. doi: 10.1016/j.psc.2009.06.002. PMID: 19716988; PMCID: PMC3018839.

Crocq MA. A history of anxiety: from Hippocrates to DSM. Dialogues Clin Neurosci. 2015 Sep;17(3):319-25. doi: 10.31887/DCNS.2015.17.3/macrocq. PMID: 26487812; PMCID: PMC4610616.

Faravelli, C., Alessandra Scarpato, M., Castellini, G., & Lo Sauro, C. (2013). Gender differences in depression and anxiety: the role of age. Psychiatry research210(3), 1301–1303. https://doi.org/10.1016/j.psychres.2013.09.027

Guerrero Moreno, J., Biazoli, C. E., Jr, Baptista, A. F., & Trambaiolli, L. R. (2021). Closed-loop neurostimulation for affective symptoms and disorders: An overview. Biological psychology161, 108081. https://doi.org/10.1016/j.biopsycho.2021.108081

Mogg, K., & Bradley, B. P. (2016). Anxiety and attention to threat: Cognitive mechanisms and treatment with attention bias modification. Behaviour research and therapy87, 76–108. https://doi.org/10.1016/j.brat.2016.08.001

Moran T. P. (2016). Anxiety and working memory capacity: A meta-analysis and narrative review. Psychological bulletin142(8), 831–864. https://doi.org/10.1037/bul0000051

Ori, R., Amos, T., Bergman, H., Soares-Weiser, K., Ipser, J. C., & Stein, D. J. (2015). Augmentation of cognitive and behavioural therapies (CBT) with d-cycloserine for anxiety and related disorders. The Cochrane database of systematic reviews2015(5), CD007803. https://doi.org/10.1002/14651858.CD007803.pub2

A cura delle Dott.sse Affatato Aurora, Apuzzo Claudia, Basilicata Francesca, Braccini Noemi, Caccavale Claudia, Criscuolo Olimpia, Daddio Elisa, De Filippo Martina, Geremia Antonietta e del Dott. Donato Iessolino.