La psicoeducazione è una tecnica sviluppata, negli anni Ottanta, nell’ambito della salute mentale.   Attualmente, è considerata una buona pratica medica, consigliata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dalle principali Linee Guida Internazionali, per il trattamento dei diversi disturbi psichici.  La psicoeducazione nasce dagli studi sulle famiglie ad alta emotività espressa condotte da Julian Leff della Social Psichiatry Unit di Londra sulle famiglie con un membro affetto da psicosi schizofrenica, tese a prevenire le ricadute e i nuovi ricoveri in reparto psichiatrico. Lo scopo dell’intervento è quello di garantire lo sviluppo globale della personalità, in soggetti con necessità educative particolari, valorizzando le capacità presenti e favorendo così una migliore espressione di sé stessi e una qualità di vita superiore (Pavone, 2010). La psicoeducazione è, dunque, una forma specifica di educazione volta ad aiutare le persone che soffrono di un problema psicologico (o i loro famigliari) ad accedere ad una serie di informazioni circa la natura e la gestione del proprio disturbo. Non rappresenta dunque una forma di trattamento vero e proprio ma ne può costituire una componente. La psicoeducazione risponde cioè all’esigenza di chi soffre, di saperne di più sul proprio disturbo, conoscerne i sintomi, le cause, gli effetti collaterali dei farmaci, ma anche apprendere com’è possibile intervenire, quali tecniche usare, com’è possibile ridurne effetti e complicanze. Tale comprensibile necessità si scontra spesso con la povertà d’informazioni date dal medico o, viceversa, con un’abbondanza di notizie, spesso incongrue, fornite dai vari mezzi di comunicazione. Inevitabilmente, questa quantità inesauribile di dati disordinati e discordanti non fa che generare confusione e angoscia. La psicoeducazione si verifica in una serie di contesti e può essere condotta da una varietà di professionisti, ognuno con un’enfasi diversa. In generale, tuttavia, quattro obiettivi generali indirizzano la maggior parte degli sforzi di psicoeducazione:

  1. trasferimento di informazioni (come quando i clienti / pazienti e le loro famiglie e badanti apprendono sintomi, cause e concetti di trattamento)
  2. scarico emotivo (un obiettivo servito come paziente / cliente o famiglia a ventilare le frustrazioni durante le sessioni o scambiare con altri simili le loro esperienze riguardo al problema)
  3. supporto di un trattamento farmacologico o di altro tipo, poiché la cooperazione cresce tra il professionista e il paziente / paziente e l’aderenza e i problemi di conformità diminuiscono
  4. assistenza per l’auto-aiuto (ovvero formazione in aspetti quali il tempestivo riconoscimento delle situazioni di crisi e la conoscenza di quali misure dovrebbero essere adottate)

La psicoeducazione è un programma di attività che utilizza semplici tecniche di modifica e miglioramento degli atteggiamenti e dei comportamenti, non per obiettivi terapeutici, ma di abilitazione, riabilitazione, promozione del benessere, tutte attività a cui lo psicologo è autorizzato dalla legge 56/89. Prevede generalmente due fasi: la prima dedicata ad attività di informazione e la seconda, più pratica, dedicata allo sviluppo di abilità. 

La fase di informazione è quella in cui lo/a  psicologo/a fornisce informazioni su una problematica, sulle possibili cause, sulle modalità di intervento, sull’ evoluzione nel tempo, aiutando le persone a fare chiarezza, a ricevere nozioni scientifiche su un fenomeno e a chiarire i loro dubbi. 

La fase di sviluppo delle attività include il training di potenziamento delle risorse, di cambiamento di atteggiamenti disfunzionali, di acquisizione di competenze. Le attività si svolgono solitamente in gruppo, stimolando la discussione, il confronto e la modifica di stili di attribuzione disfunzionali per superare i pregiudizi. Ci sono, riguardo le abilità, invece, training di comunicazione, per mantenere e modificare le skills, gestire lo stress. 

 Questo tipo di interventi sono comuni nell’approccio Cognitivo-comportamentale, anche se non sono limitati a questo. Infatti, la psicoeducazione può essere applicata a molteplici situazioni diverse e in più contesti (individuale, familiare, di gruppo). Non dobbiamo pensare che può essere applicata esclusivamente nel caso di patologie mentali o patologiche, perché è utile anche in situazioni/fasi di vita/condizioni stressanti in cui è utile conoscere cause, modalità comportamentali, possibili trattamenti efficaci. Insomma, la psicoeducazione è uno strumento estremamente valido in molte circostanze in cui, sia noi in prima persona che qualcuno a noi vicino, dobbiamo affrontare qualcosa su cui abbiamo poche informazioni. Concretamente, acquisendo conoscenze varie su quello che si affronta è molto probabile riuscire a sentirsi più competenti e capaci in quella situazione che altrimenti provocherebbe stress. Si può imparare, infatti, ad autogestire la propria condizione (qualunque essa sia), comprendere e controllare le proprie reazioni, sia emotive che comportamentali, e se è il caso anche prevenire eventuali ricadute. 

Esistono diversi modelli psicoeducativi, diverse metodiche che variano in base a diversi fattori, come ad esempio il tipo di difficoltà/disturbo, l’età del soggetto e anche se si tratta di una situazione di gruppo, individuale o familiare. La psicoeducazione di gruppo può essere implementata, ad esempio, nelle scuole affrontando argomenti attuali e critici per l’età adolescenziale, anche con scopi preventivi. La psicoeducazione familiare, invece, è fondamentale per aiutare tutto il sistema famiglia a gestire al meglio la problematica del singolo soggetto.