Il mobbing si presenta come un comportamento aggressivo, fisico e/o psicologico rivolto alle persone in ambienti lavorativi. Nel 1984, Heinz Leymann introduce il termine MOBBING per indicare la particolare forma di oppressione esercitata nel contesto lavorativo, il cui fine consiste nell’estromissione reale o virtuale della vittima dal mondo del lavoro. “È una forma di “comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui (mobber o gruppo mobber) verso un altro individuo (mobbizzato) che si viene a trovare in una posizione di mancata difesa [Leymann, 1984]”. 

In Italia, si inizia a parlare di mobbing sul lavoro solo negli anni ‘90 grazie allo psicologo del lavoro Harald Ege, che raffigura il fenomeno come “una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte dei colleghi o superiori attuati in modo ripetitivo e protratti nel tempo per un periodo di almeno 6 mesi.” Ripetitività e durata sono dunque le 2 condizioni che devono essere presenti perché si possa affermare di trovarsi in presenza di mobbing sul lavoro. Il mobbing è una strategia, un attacco ripetuto e continuato, che deve avvenire almeno una volta alla settimana per almeno sei mesi, diretto contro una persona o un gruppo di persone da parte del datore di lavoro, superiori o pari grado che agiscono con finalità persecutorie. 

In seguito a questi attacchi, la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio che si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico. Il mobbing può essere realizzato direttamente dal datore di lavoro (bossing o mobbing verticale discendente), dai colleghi (mobbing orizzontale), da entrambi (mobbing misto) o dai sottoposti nei confronti del superiore (mobbing verticale ascendente).

Gli atti e i comportamenti possono consistere in: pressioni o molestie psicologiche; calunnie sistematiche; maltrattamenti verbali ed offese personali; minacce od atteggiamenti tendenti ad intimorire od avvilire, anche in forma indiretta; critiche immotivate ed atteggiamenti ostili; delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all’organizzazione; svuotamento delle mansioni; attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi, e comunque atti a provocare seri disagi in relazione alle condizioni fisiche e psicologiche del lavoratore; attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto; impedimento sistematico ed immotivato a notizie ed informazioni utili all’attività lavorativa;marginalizzazione rispetto ad iniziative formative di riqualificazione e di aggiornamento professionale;esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo nei confronti del lavoratore, idonee a produrre danni o seri disagi;atti vessatori indirizzati alla sfera privata del lavoratore, consistenti in discriminazioni sessuali, di razza, di lingua e di religione.

La grande sofferenza psicologica di un lavoratore soggetto al mobbing, limita fortemente la capacità di comunicazione. La persona anche quando parla viene interrotta di frequente, le relazioni sociali con i colleghi vengono compromesse e la sua psiche va in contro a disagi che possono provocare stati di ansia generalizzata e aumento del livello di stress. Lo stress, l’ansia, e la depressione sono connessi a specifici disturbi psicologici, il più grave e più diffuso è il Disturbo post traumatico da stress il quale si manifesta nella persona come conseguenza di una paura intensa, e soprattutto con la presenza di vissuti intensi di impotenza, con ricordi spiacevoli e intrusivi. Il disturbo si riscontra frequentemente nelle situazioni di mobbing, perché uno dei fattori di rischio individuali più gravi è il basso sostegno sociale che percepisce la vittima, molto spesso lasciato sola a vivere questa difficile condizione.

Per affrontare il problema del mobbing, uno dei passi più importanti da fare, è mirare ad un’adeguata misura di prevenzione, sia per evitare l’emarginazione sociale, sia per garantire un ambiente di lavoro efficiente e sano. Il ruolo principale nella manovra di prevenzione è svolto dall’imprenditore dell’azienda, il quale dovrà adottare strategie volte a:

1. un miglioramento psicosociale, dando ai lavoratori la possibilità di scegliere le modalità di esecuzione del proprio lavoro, diminuendo la ripetitività e la monotonia di tali attività, sviluppando uno stile di leardship e aumentando le informazioni riguardanti gli obiettivi, in modo da definire più precisamente i ruoli e gli incarichi;

2. uno sviluppo di valori contro il mobbing, divulgandoli a tutti i dipendenti e controllando che siano effettivamente osservati; inoltre, migliorare la gestione dei conflitti e la comunicazione e divulgare tutte le informazioni su questo fenomeno, sono elementi di elevata importanza;

3. formulare una politica orientata ad interazioni sociali positive, definendo quali sono le azioni accettabili e quali non lo sono, e, in quest’ultimo caso, chiarirne le conseguenze e le relative sanzioni; specificare i luoghi dove la vittima può chiedere aiuto e le procedure per segnalare gli episodi di mobbing

Per quel che riguarda il “mobbizzato”, alcuni strumenti di difesa possono essere il rivolgersi a sindacati, strutture del personale, ad un responsabile di riferimento o usare strumenti giuridici (denuncia, diffida, querela). Anche il rafforzamento della propria personalità ed autostima può essere utile a ridurre l’incidenza delle “violenze” fatte sul posto di lavoro. Lo stress si può contenere con tecniche di rilassamento, praticando sport o dedicandosi agli hobby.

Nell’ordinamento italiano non esiste una disciplina dedicata al fenomeno del mobbing; ciononostante, sono diverse le norme che consentono di attribuire rilievo alle condotte vessatorie. A livello costituzionale è possibile richiamare: l’art. 2 Cost., che afferma il valore centrale e primario della persona umana, sia come individuo che come membro della società; l’art. 4 Cost., secondo cui la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto; l’art. 41 Cost., secondo cui l’iniziativa economica privata, pur libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. A livello di legge ordinaria, invece, si fa riferimento: l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo le particolarità dell’attività svolta, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; l’art. 2103 c.c., che disciplina la prestazione dell’attività lavorativa da parte del lavoratore, individuando le ipotesi e le modalità con cui può procedersi ad un mutamento delle mansioni originariamente attribuite; l’art. 2049 c.c., che chiama il datore di lavoro a rispondere dei danni cagionati dal fatto illecito commesso dal proprio dipendente durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Il lavoratore, vittima di mobbing, ha diritto al risarcimento dei danni subiti. Le modalità per ottenere il risarcimento variano a seconda del tipo di responsabilità. Le condotte mobbizzanti possono dar luogo a responsabilità contrattuale (la vittima lamenta l’inadempimento di una obbligazione preesistente, qualunque ne sia la fonte) o extracontrattuale (un soggetto danneggia ingiustamente un altro soggetto al quale non era in precedenza legato da un vincolo obbligatorio) con tutte le differenze di disciplina che ne derivano.

Affatato Aurora

De Filippo Martina

Raffone Antonella

Verdoliva Sara.